“Mistero dei misteri!”
Mistero dei misteri!
È sotto questo titolo, che è l’ultimo verso di una poesia di Edgar Allan Poe, che vorrei proporre le seguenti riflessioni. Quello che aleggia intorno a questa frase è naturalmente il titolo vero e proprio della poesia di Poe che parla del singolo e dei molti: Lo spirito dei morti.[1]
Che cos’è Massenpsychologie und Ich-Analyse?
Come ricordare dopo cento anni un testo che riguarda la memoria arcaica dell’apparizione della massa?
Sarebbe semplicistico limitarsi a dire che questo saggio rispecchia il proprio tempo, un’epoca in cui le folle che i processi politici e socioeconomici avevano portato alla ribalta cominciavano a suscitare l’interesse di molti pensatori. Non basta neanche dire, come hanno fatto in molti, vista la sua prefigurazione del fascismo, che gli eredi della Massenpsychologie siamo noi.
È il testo invece, come vedremo, a essere figlio di tempi arcaici.
In questo saggio Freud cercava di dimostrare che tra gli esseri umani, oltre a quelli familiari, ci sono altri rapporti che hanno raggiunto livelli di regolarità molto importanti. Dal suo punto di vista, era tutt’altro che sufficiente soffermarsi su gruppi occasionali o su forme di cooperazione razionale tra masse di persone – per esempio i passanti che lì per lì si uniscono insieme per tirare su un autobus caduto in una scarpata – come facevano Le Bon e altri, che perciò vennero da lui accantonati. La sua indagine era rivolta invece ai legami durevoli di una comunità, sentita e riconosciuta come tale dai suoi membri. Questo è ciò che Freud chiamava massa e che lui definiva come quello che ha qualcosa in comune, base della possibilità stessa della creazione di una qualsiasi duratura comunità e anche di molti altri diversi tipi di formazioni di massa. Possiamo quindi enunciare così il progetto complessivo di Freud e la sua proposta teorica per quel che riguarda la massa: la regolarità di avere qualcosa in comune con molti altri. Se ne deduce un tratto distintivo, ovvero che molte persone sono simili l’una all’altra in quanto hanno lo stesso qualcosa e insieme un secondo tratto, ovvero che questo qualcosa in comune non è dello stesso tipo in nessuna di queste persone simili.
Starà la tua anima disperata e sola
Il concetto di regolarità rimanda ad attività e processi che nel loro ripetersi sono più o meno uguali tra loro, come dormire la notte, sognare e svegliarsi al mattino. La regolarità è definita da una regola o legge componenziale, e il suo rapporto interattivo con altre regolarità è esso stesso incluso da una regolarità più grande definita a sua volta da una legge di inclusione. (Dato che Freud e i suoi seguaci si sono concentrati principalmente sulla massa intesa come modello e struttura fondamentale di qualsiasi comunità, pre-recepiscono la questione del modo in cui una regolarità si rapporta a un’altra come la questione del modo in cui una massa si rapporta a un’altra, visto che sono entrambe fondamentalmente strutturate nella stessa maniera, pur con alcune differenze. Questa pre-ricezione fornisce o un modello concentrico di masse più piccole incastonate in quelle più grandi, oppure lo schema amico-nemico. Ma nessuno dei due risolve la questione della coesistenza e dell’interrelazione di molte regolarità, una questione implicita in ogni riflessione autentica sull’aggregazione di molti o sul mit-sein). Attraverso le regolarità gli esseri umani e le cose intrattengono rapporti di mezzi e fini. Le loro interrelazioni sono mantenute tramite forme che consentono funzioni specifiche, ma sia le forme che le funzioni sono modificabili. Le modificazioni si verificano in due modi.
Nel primo, scoprendo nuove omologie o capacità nelle forme e funzioni esistenti, in cui l’omologia va intesa come la distinzione dei generi e i gradi di articolazioni disponibili nelle cose così che lo stesso oggetto può essere costruito con regolarità diverse per dare oggettività diverse.
Nel secondo, le modificazioni si realizzano attraverso nuove analogie che ridistribuiscono le forme, le funzioni e le loro omologie. Quando le funzioni esistenti si rivelano appropriate come mezzi per uno scopo o un fine nuovo, non sempre perdono la loro forma o funzione precedente, ma ne assumono di nuove con regole diverse. Questo comporta l’introduzione di una legge atta a includere le specifiche regolarità appena interrelate in un’oggettività che abbia una qualche durata.
Fino alla Massenpsychologie, la psicoanalisi presentava l’apparato psichico di un individuo come un sistema comprendente le funzioni fondamentali di investimento oggettuale (catessi), identificazione e repressione, che producevano un ristretto ambito di forme durature: l’Es, l’Io e il Super-Io. Tali forme e funzioni potevano inserirsi in regolarità variabili o in formazioni psichiche, e nelle loro articolazioni, per esempio nei sogni, nei motti di spirito, in vari tipi di nevrosi, nella malinconia. La limitazione delle funzioni essenziali, soprattutto durante la fase orale e quella edipica, comporta che all’interno del sistema freudiano (fino a un certo punto) questa dinamica di moltiplicazione di forme psichiche insorga comunque dalla scoperta che egli fa di una specifica omologia presente nell’apparato psichico – l’Eros. Di conseguenza c’è una limitazione prima della ridistribuzione analogica delle forme e funzioni esistenti di Es, Io e Super-Io (come testimoniato dalle nuove scelte oggettuali, dalle identificazioni secondarie, dalla introiezione, dal sadismo ecc.).
Non dir nulla in quella solitudine
Che non è però desolazione – perché, allora…
Freud descrive la struttura psichica di una massa primaria così: “Una tale massa primaria è costituita da un certo numero di individui che hanno messo un unico medesimo oggetto al posto del loro ideale dell’Io e che pertanto si sono identificati gli uni con gli altri nel loro Io”. [2]
Dobbiamo prendere in considerazione le componenti e le funzioni di questa regolarità chiamata massa. Le componenti minime indispensabili di una possibile massa così definita ci vengono rivelate dal testo freudiano nel seguente modo:
- identificazione (dinamica di attaccamento libidico nell’apparato psichico che comprende Es, Ego o Io, e Super-Io o Ideale dell’Io; capitolo VII)
- regressione (correlazioni dell’Io, l’ideale dell’Io e l’oggetto; capitolo XI)
- formazione primitiva dell’orda-paterna (storia della famiglia primordiale; capitolo X)
- mito come patrimonio arcaico (poscritto B)
Di queste quattro componenti, Freud aveva già sviluppato una teoria dell’identificazione e della regressione (o psicologia individuale, come qui viene chiamata) nelle sue opere di psicoanalisi e metapsicologia precedenti; la terza, vale a dire la struttura dell’orda primordiale (sintetizzata per comodità anche in ‘psicologia della massa’), veniva presentata in questo libro per la prima volta, mentre l’ultima componente – vale a dire il mito – che viene utilizzata un po’ in tutta l’opera di Freud, qui assume una nuova funzione centrale nella forma del “patrimonio ereditario arcaico”. Quando queste componenti vengono organizzate in modi diversi, ossia incluse in una legge diversa, emergono tipi di massa differenti, con o senza leader, con un’organizzazione sempre più strutturata o meno strutturata, ma sempre tendente alla regressione.
Affinché molte persone pongano un medesimo oggetto al posto del loro Ideale dell’Io, bisogna che sia già stato messo in moto il processo in cui l’Io di ogni individuo si scopre a una sensibile distanza e in uno stato di inferiorità rispetto al proprio Ideale dell’Io. In altri termini, c’è un’omologia tra psicologia del singolo e massa, di modo che la massa sorge da condizioni che si realizzano nel processo ontogeneticamente precoce del distacco dell’Io dall’Es e dalla comparsa dell’Ideale dell’Io come “livello all’interno dell’Io”, la cui funzione è reprimere, verificare la realtà, punire, controllare e dirigere. Questo processo è innescato dal padre edipico in modo che l’ambivalenza delle prime identificazioni (con entrambi i genitori) della fase pre-edipica sfoci in una ridistribuzione post-edipica dell’attaccamento libidico a nuove scelte oggettuali e a identificazioni secondarie. Così prende forma l’ideale dell’Io, in cui la funzione “avere” un oggetto (la madre) e la funzione “essere come” o identificarsi con un esempio/modello (il padre) vengono entrambe ri-distribuite e la funzione dell’identificazione si scinde inoltre nella simultaneità di amore e odio nei confronti della figura esemplare.[3]
Ma lo sviluppo omologico della massa dall’individuo non può essere colto chiaramente fino a che non si spiega come un medesimo oggetto riesca a rimpiazzare l’elevatissimo ideale dell’Io di così tanti Io, e di conseguenza come ogni Io si identifichi con i molti altri nell’identico modo, ovvero come ogni Io si identifichi nel modo in cui anche gli altri si identificano. (Freud faceva notare che qui è questione soprattutto della funzione dell’Ideale dell’Io messo a confronto con l’Io, e che spesso perfino oggetti molto miseri possono prendere il posto di questo Ideale dell’Io e acquisirne l’aura). Possiamo dunque formulare la domanda di Freud in questa maniera: qual è l’origine dell’uniformità del processo di identificazione in molti Io?
Gli spiriti di quelli che in vita
ti precedettero incontrerai, nella morte,
di nuovo intorno a te – ed il loro volere
porrà in ombra il tuo: ma tu, non dir parola.
La Massenpsychologie è il risultato della ricerca di quest’origine mancante che Freud cercò agli albori dell’identificazione, cioè analizzando filogeneticamente la famiglia primordiale. La narrazione freudiana sul padre originario dell’orda originaria mirava a dar conto dell’omologia delle identificazioni che si ripetono lungo la storia umana come anche nell’ontogenesi, cosa che la psicoanalisi aveva già evidenziato prima ancora che la Massenpsychologie vedesse la luce. Ciò che Freud scoprì era che era possibile stabilire che la massa primaria era omologica alle identificazioni iniziali, date dalla psicologia individuale, solo una volta che si fosse stabilito che la divisione tra l’Io e l’ideale dell’Io era a sua volta omologa alle identificazioni determinate dalla famiglia più antica/iniziale o dalla massa primaria. In questo modo Freud poteva affermare, nel decimo capitolo, sia che “la psicologia della massa è la psicologia umana più antica” (e anche che “deve quindi esserci una possibilità di trasformare la psicologia di massa in psicologia individuale”) sia che era stato un individuo, il padre primigenio, a innescare la prima psicologia di massa: “Li immise per così dire con la forza nella psicologia collettiva”.[4]
Debolezza e devozione paradigmatiche dell’Io nei confronti dell’ideale dell’Io sono indotte nei figli atterriti dall’esercizio della forza da parte del padre primigenio, inizialmente convertendo la propria paura e il proprio eros, la cui meta è inibita, in direzione del padre (dal quale desiderano amore e protezione), e il proprio senso di uguaglianza in direzione di ciascun altro (identificandosi con la posizione ugualmente indegna di ciascun altro).
In questa narrazione freudiana non c’è contraddizione, né un’originarietà circolare, quanto piuttosto una differenza di livelli nelle origini di ogni fase di identificazione. Una volta osservate le omologie di quella che possiamo chiamare la funzione-identificazione introdotta da Freud, siamo obbligati a cercare un’origine persino più antica di quanto siano la psicologia individuale o quella collettiva, piuttosto l’origine di entrambe.
Il settimo capitolo della Massenpsychologie è dedicato all’identificazione, e di essa Freud dice: “L’identificazione è (…) la prima manifestazione di un legame emotivo”. Nei capitoli successivi viene sviluppata ampiamente l’omologia tra amore, ipnosi e la “fascinazione” operanti nella psicologia collettiva. Ne deriva che nella psicologia delle masse l’identificazione precede la psicologia dell’individuo, proprio come l’identificazione nella fase pre-edipica precede la formazione dell’ideale dell’Io, le identificazioni secondarie e le idealizzazioni.
Il padre, la massa e l’individuo che ne è il “residuo” (presto ci occuperemo del padre del mito e della nostalgia in “Complementi”, dodicesimo capitolo del testo) sono omologhi. La ricerca della loro origine comune ora è riposta nella nostra capacità di capire il modo in cui, per Freud, l’identificazione abbia la meglio sulle pulsioni erotiche disinibite, di cui Al di là del principio di piacere aveva già detto con chiarezza che più che sessuali erano pulsioni di vita. Perché non bisogna dimenticare che Freud ne presenta la forma compiuta non semplicemente come un’imposizione del padre primigenio ma come “masochismo passivo”, una “idoneità personale a rivivere tali antiche situazioni” e, quello che più conta, come “patrimonio ereditario arcaico”.[5]
Avrai pensieri che non potrai bandire –
visioni che mai più svaniranno –
che mai più da te saran disgiunte –
Come si trasmette, secondo il testo freudiano, il patrimonio ereditario arcaico o, in altre parole, come viene conservato attraverso la filogenesi e l’ontogenesi? La risposta è risaputa – per mezzo di un mito molto particolare (l’ultima voce della nostra lista precedente). Dunque: condizione necessaria della nostalgia è la morte del padre e Freud non ci dice perché l’orda primordiale “finì per riunirsi un giorno, uccidendolo e facendolo a pezzi”. Una gran quantità di famiglie dominate dalla figura paterna, divenute acefale, prova sempre un senso di “nostalgica privazione”, ma solamente una tra loro reagisce a essa fabbricando un falso mito idealizzante nel quale un eroe uccide il padre. Chi lo fa, e perché? Freud si premura di fornire una ragione psicologica alle ragioni psichiche per le quali il poeta debba essere il figlio ultimogenito. Ma ciò che è ancora più importante è che questo mito stesso scaturisce da quella pre-esistente nostalgia.
Così Freud suggerisce che il poeta debba essere l’eroe – che inventa il mito in conformità alla nostalgia e presenta un se stesso immaginario come nuovo padre che regna in nome del vecchio. La poesia epica esprime per prima questa nostalgia che ognuno prova. L’eroe rimpiazza il padre primigenio nella posizione pre-esistente dell’ideale dell’Io. L’atto di invenzione della storia dell’uccisione è analogo a quello dell’uccisione stessa. A questo punto Freud suggerisce che “il mito è pertanto il passo con cui il singolo esce dalla psicologia collettiva”. L’inventore del mito è il primo che agisce sulla spinta della nostalgia o della “natura incontenibile della psicologia di massa”.
Senza fornire alcuna ulteriore prova dell’uccisione del padre, il mito sopravvive unicamente per raccontare la storia che esso stesso ha per primo elaborato. È del tutto probabile che il padre morto in realtà non sia mai esistito, che sia solo una creazione del mito che obbedisce all’incoercibile impulso psichico alla nostalgia. È anche possibile che Freud ci stia semplicemente raccontando un mito sulla eventuale esistenza di un padre primordiale e di un poeta epico, e forse l’uccisione e il ri-stabilimento di un padre non esistente indica che la nostalgia è indirizzata da qualcosa di non esistente. Forse è proprio Freud l’eroe che il poeta incarna e, come il mitico serpente che ha una bocca sulla coda, la nostalgia ha solo una funzione traghettatrice tra le due origini e i due miti (quello raccontato dal poeta e l’altro raccontato da Freud). Nella sua lettura della versione del parricidio così come viene presentata in Totem e tabù, Derrida ci ha insegnato a riconoscere questo “segno della narrativa di fantasia (finzione della narrazione e anche finzione come narrazione)”.[6]
E se non esistesse un tale mito di parricidio eroico nella poesia epica e Freud ci stesse invece propinando una sua pura invenzione? Non è un caso che elabori questo ruolo del mito solo dopo la fine del capitolo undicesimo, nella sezione B dei ‘Complementi’, dopo aver avanzato l’ipotesi dell’individuo come omologo della massa. Come vedremo, la questione dell’esistenza o non esistenza del padre è priva di rilevanza, e il mito stesso non è la base del patrimonio arcaico che dalla massa porta all’individuo e poi di nuovo alla psicologia collettiva. Il punto è che se diventiamo una massa perché siamo un pubblico che recepisce il mito originario o perché ognuno dei nostri Io ha una dipendenza nei confronti dell’autorità e un desiderio di essere dominato, allora questo significa che la struttura della nostalgia è già presente nella psicologia individuale e mette in rapporto l’Io con l’Ideale dell’Io. Ciò implica anche che ogni nuovo padre (poeta/eroe o no) viene subito accettato come tale dalla massa disgregata e nostalgica dei padri, dato che essi anelano già tutti quanti a identificarsi con la posizione del padre, il loro Ideale dell’Io per l’appunto.
Dobbiamo invece prestare attenzione alla sintassi della definizione che Freud dà della massa primaria che si ripete nell’individuo e in altri tipi di massa: molti Io “hanno messo un unico medesimo oggetto al posto del loro ideale dell’Io”. La forma attiva in questa frase sta a indicare un agente psichico, evidentemente inconscio, che cerca e trova oggetti per occupare la posizione del loro ideale dell’Io, soppiantando l’ideale dell’Io. Questi oggetti sono alcuni altri individui che spesso non possiedono nessuna delle qualità di un padre primordiale dominante. Lo facciamo per noi. Questa dipendenza e questo anelito sono nostri tratti caratterizzanti, e tale nostalgia è una forma di pulsione. Più che nel mito, sarà nella teoria freudiana delle pulsioni che troveremo i fondamenti della Massenpsychologie.
La notte t’apparirà accigliata e greve –
e le stelle non occhieggeranno
dai loro alti troni celesti, con luce
di vaghe speranze offerte ai mortali –
ma le loro rosse sfere, prive d’ogni raggio,
al tuo languente occhio si mostreranno
come incendio e ardore
che per sempre t’investiranno.
Per capire il “carattere perturbante, costrittivo della formazione collettiva”[7] bisogna considerare quella che in Freud potremmo chiamare funzione-identificazione. La spiegazione ci viene fornita nell’ultimo capitolo del testo, l’undicesimo:
“Ogni differenziazione psichica di cui siamo venuti a conoscenza rappresenta un nuovo onere per la funzione psichica, ne accresce la labilità e può divenire il punto di partenza di un cedimento della funzione, di una malattia. È così che con la nascita siamo passati dal narcisismo assoluto e autosufficiente alla percezione di un mondo esterno mutevole e agli inizi del rinvenimento oggettuale, e da ciò dipende il fatto che non sopportiamo durevolmente il nuovo stato, che periodicamente lo annulliamo e durante il sonno torniamo al precedente stato di assenza di stimoli e di elusione dell’oggetto”.[8]
Ancora prima dell’investimento libidico, della scelta oggettuale e dell’inibizione delle mete, c’è l’autosufficienza (selbstgenügsamen Narzißmus, narcisismo primario) e l’impulso a tornare allo stato precedente – la regressione. Rinunciare all’oggetto d’amore in favore del padre primigenio (ideale collettivo) è solo una ri-articolazione dell’elusione dell’oggetto, vale a dire il ritorno allo stato precedente. La formazione compulsiva di una massa si è quindi sviluppata omologicamente nel genere umano, in una orda animale, dalla pre-esistente tendenza al regredire, che Freud individua perfino nei neonati, a ritirarsi dal mondo degli stimoli, e dalle instabilità e fragilità intrinseche in tutte le regolarità psichiche che si dispiegano nell’ontogenesi.
E così l’ultimo capitolo della Massenpsychologie si conclude con le tesi che troviamo in Al di là del principio di piacere, in cui Freud per la prima volta ci ha fornito la definizione di “pulsione” stessa nei termini di “una spinta, insita nell’organismo vivente, a ripristinare uno stato precedente al quale l’organismo ha dovuto rinunciare sotto l’influsso di forze perturbatrici provenienti dall’esterno”.[9] La pulsione è pulsione di morte, l’eros e le altre pulsioni di vita sono invece “pulsioni parziali”:
“tutte le pulsioni organiche sono conservatrici, sono state acquisite storicamente e tendano alla regressione, alla restaurazione di uno stato di cose precedente. (…) Ognuno dei cambiamenti imposti a un organismo nel corso della vita è stato accolto dalle pulsioni organiche conservatrici e preservato per essere successivamente ripetuto; queste pulsioni suscitano così necessariamente la falsa impressione di essere forze inclini al mutamento e al progresso, mentre invece cercano semplicemente di raggiungere una meta antica seguendo vie ora vecchie ora nuove. Si potrebbe anche indicare questo fine ultimo di tutto ciò che è organico. Sarebbe in contraddizione con la natura conservatrice delle pulsioni se il fine dell’esistenza fosse il raggiungimento di uno stato mai attinto prima. Al contrario, si deve trattare di una situazione antica, di partenza, che l’essere vivente abbandonò e a cui cerca di ritornare, al termine di tutte le tortuose vie del suo sviluppo. Se possiamo considerare come un fatto sperimentale assolutamente certo e senza eccezioni che ogni essere vivente muore (ritorna allo stato inorganico) per motivi interni, ebbene, allora possiamo dire che la meta di tutto ciò che è vivo è la morte (…)”.[10]
L’ipotesi della pulsione di morte fornisce la teoria della nostalgia, della tendenza regressiva – la coazione al ritorno – che sostiene l’omologia tra psicologia individuale e di massa. In questo senso si capisce l’idea freudiana di una “dipendenza dall’autorità” e di un “desiderio di essere dominati”. L’identificazione e l’amore oggettuale sono essi stessi articolazioni omologhe dell’eros che da parte sua è una articolazione omologa della pulsione di morte. Le pulsioni parziali di autoaffermazione, di dominazione e di autoconservazione (che danno vita all’ambivalenza delle scelte oggettuali e delle identificazioni della fase orale proprio nella loro ambivalenza) sono forme isolate della medesima funzione: ripristinare lo stato precedente, ritornare alla stabilità, “conseguire” l’obiettivo della morte. In quanto isolamenti funzionali di Thanatos hanno raggiunto un alto livello di regolarità in una fase addirittura precedente a quella in cui dagli organismi inferiori si sono sviluppati gli animali superiori.[11] Sono modificazioni permanenti arcaiche che tuttavia adempiono alla stessa funzione tramite un percorso tortuoso. In Al di là del principio di piacere anche tutti gli obiettivi – di piacere e dispiacere – vengono spiegati come stazioni di sosta rispetto a quello che è l’obiettivo primario di tutta la vita, la morte.
La definizione freudiana della massa nei termini delle componenti e delle funzioni che abbiamo elencato in apertura, alla fine si basa sul cogliere la loro interazione dominata da qualcosa che va al di là del principio di piacere e del principio di realtà (l’uno essendo la modificazione dell’altro) – il dominio appunto della regressione o, se vogliamo, il principio del ritorno, per cui l’identificazione e l’abiezione rappresentano il nostro patrimonio arcaico. La psicologia individuale e quella collettiva sono entrambe omologhe alla pulsione di morte. Thanatos è l’origine dell’identificazione, dell’“avere qualcosa in comune”. Si tratta di un’origine molto più antica perfino di quella del padre primigenio (che evoca una forza distruttrice altrettanto terrificante tratta dalla pulsione di morte), ed è antica almeno quanto l’origine della vita stessa, secondo quanto ipotizzato da Freud in Al di là del principio di piacere. Quel volere che ci dice di ”non dir parola”, come dice la poesia di Poe, è quello degli spiriti dei morti, derivato esso stesso dalla volontà dell’impulso di morte.
Freud sapeva che una teoria sul modo in cui l’uomo è legato alla comunità doveva fondarsi su una teoria della forza, ed era stato appunto lui a sviluppare questa nuova teoria della forza nella forma della “pulsione” in Al di là del principio di piacere. Non si capisce la Massenpsychologie senza Al di là del principio di piacere. Ma, egualmente, senza la Massenpsychologie la teoria della pulsione di morte di Al di là del principio di piacere non sarebbe potuta entrare in contatto con gli spiriti dei morti. Bisogna aggiungere che ovviamente era necessario che la Massenpsychologie fosse scritta perché bisognava mostrare la capacità omologa delle pulsioni, teorizzata in Al di là del principio di piacere, in azione sull’intero spettro dei fenomeni psichici e sociali come l’amore, l’ipnosi, la malinconia, le nevrosi e, soprattutto, la massa. Il mondo deve essere reinterpretato e reso coerente con l’origine della vita (e delle pulsioni di vita) così come ipotizzato in Al di là del principio di piacere. Devono avere tutte un’ascendenza chiaramente individuabile e condivisa. Per Freud è il passo necessario da compiere per riesaminare le sue precedenti scoperte psicologiche alla luce delle ultimissime scoperte da lui fatte in campo metapsicologico riguardanti l’impulso di morte, e per integrare Al di là del principio di piacere con il resto della sua teoria e della sua pratica psicoanalitiche.[12]
e la nebbia sulla collina –
un’ombra – un’ombra che non si squarcia,
è un simbolo, è un segno –
già per come incombe sugli alberi,
mistero dei misteri!
La Massenpsychologie discende direttamente da Al di là del principio di piacere.
Gli spiriti dei morti non “passano da” l’Io, ma passano senza sosta attraverso la primordiale pulsione di morte fino ad arrivare a ciascun Io, ed è per questo che essi in ultima analisi non dipendono dai ricordi dei poeti o da miti che potrebbero solo supplire a un’origine inesistente (benché miti di questo tipo esistano e svolgano precise funzioni che Derrida ha già descritto e qui non affronteremo; basta dire che, non diversamente da tutto il resto, anche loro sono capaci di polinomia, ovvero la possibilità che la stessa cosa ospiti numerose diverse regolarità tramite nuove analogie e la scoperta di molteplici omologie tra loro). Il nostro incontro con il mito in Freud deve seguire un’altra strada, del tutto assente nella Massenpsychologie, ma che troviamo piuttosto nell’opera che è alla sua base, ovvero Al di là del principio di piacere.
Freud non ricorrerà mai in modo tanto massiccio all’invenzione e alla citazione di miti che in Al di là del principio di piacere, soprattutto a supporto della sua tesi della morte come scopo della vita. Le sue ipotesi sull’evento che ha dato origine alla vita, su come la pulsione di morte si sia formata nei più antichi e semplici organismi e poi abbia continuato a governare lo sviluppo di forme superiori di vita, è basata su due importanti miti. Il primo è il suo racconto sull’origine della vita ed è già di per sé l’invenzione di un mito di fondazione, nel quale la materia inorganica viene “suscitata” alla vita per intervento di una forza esterna. Queste sue supposizioni sono coerenti con la definizione di “pulsione” intesa come tendenza a ritornare a uno stadio precedente, benché esse non sarebbero state convalidate neanche dalla biologia dei suoi tempi. Il secondo viene esposto allorché l’evoluzione degli animali superiori con riproduzione sessuata sembra palesemente contraddire la sua tesi che la pulsione di morte continui ad agire in loro a partire dagli organismi unicellulari che non si riproducono sessualmente ma attraverso scissione. Freud risolve il problema basandosi sul mito dell’androgino raccontato nel Simposio di Platone, e sul desiderio reciproco delle due metà dopo che esso è stato tagliato in due da Zeus. Questo è il fondamento del concetto di nostalgia che da Al di là del principio di piacere arriva fino allaMassenpsychologie.
A dire il vero, in Al di là del principio di piacere Freud molte volte riconosce quanto siano traballanti le basi delle sue ipotesi, ma malgrado ciò per loro tramite si fa strada una costruzione via via sempre più certa della pulsione di morte. Nei due capitoli conclusivi questa viene ricondotta all’apparato psichico e determina alcune revisioni della libido, della libido narcisistica e della tesi del masochismo primario (il rappresentante della pulsione di morte nell’Es).
Ma perché mai Edgar Allen Poe parla qui in questi suoi versi della silenziosa presenza della morte che è come se aleggiasse fuori di noi, un po’ in disparte, né troppo lontana né troppo vicina, sospesa in maniera perturbante come una nebbia ombrosa? Ci viene solo detto che in realtà questa nebbia è un simbolo e un segno. Ma di che cosa? Se non altro appare chiaro che il poeta vorrebbe che ‘tu’ – vale a dire tutti noi lettori – considerassi la nebbia come simbolo di qualcos’altro. L’ultimo verso ci rivela che cosa è: il mistero dei misteri, ovverossia il mistero del fatto che esistano misteri. E quali sono? Esattamente quelli di cui parlano le strofe precedenti appena menzionate – gli spiriti dei morti che ritornano e i miti che li riconducono fino a noi. Allora il poeta ci sta chiedendo di vedere la nebbia non come una massa di morti che preme su di noi, ma come un mistero, vale a dire: accostarsi a loro con curiosità invece che con credulità.
Questo è il modo in cui dobbiamo riandare a Freud, e allora inizierà a baluginare qualcos’altro che riguarda il mito e la massa, qualcosa che è di estrema importanza per la politica. Nel momento stesso in cui va tracciando l’analogia tra ipnosi e psicologia della massa (che a questo punto sappiamo essere omologhe all’identificazione) Freud compie un passo importante. Ci fa presente che spesso durante l’ipnosi si manifesta una resistenza alla suggestione e che molti, lui compreso, si ribellano al tipico rimbrotto dell’ipnotista: “Vous vous contresuggestionez!”.[13] Questa resistenza fa sì che la seduta di ipnosi venga trattata come se fosse un gioco. In un’osservazione espressa nel paragrafo immediatamente precedente quello in cui si presenta la definizione di massa, nell’ottavo capitolo, Freud spiega che:
“la coscienza morale della persona ipnotizzata può essa stessa mostrarsi resistente, anche nel caso di un’arrendevolezza altrimenti completa alla suggestione (…) una consapevolezza che si tratta soltanto di un giuoco, di una riproduzione non vera di un’altra situazione, la cui importanza è assai più vitale”.
In effetti, c’è una relazione tra queste osservazioni e l’esplicito accenno fatto da Freud, in ben tre punti del testo, che nell’esercito e nella chiesa, come in altre odierne formazioni di massa, quello che si produce è “l’illusione che il capo ami in uguale e giusta maniera tutti i singoli”.[14] Soprattutto nei Complementi si dice con chiarezza che “la menzogna del mito eroico culmina nella divinizzazione dell’eroe”(p.87).
Finzione, gioco, mito e menzogna – forme con una certa somiglianza tra loro, e tutte quante ci invitano a esplorare il mistero di quale sia in effetti il rapporto tra la massa e i capi. In realtà, il mistero è che si tratta di un rapporto di identificazione, però il mistero dei misteri è ancora qualcosa d’altro, è che quello che appare come identificazione, o come suo prodotto psichico, potrebbe essere una finzione, un gioco, un mito e una menzogna. E dove apprenderlo meglio se non nelle opere di Platone, il filosofo da cui Freud ha preso in prestito il mito in Al di là del principio di piacere? Platone non solo ha utilizzato i miti in varie forme in molti suoi dialoghi – alcuni se li inventava di sana pianta, altri li riportava, e di altri ancora se ne appropriava riprendendoli dalle fonti più diverse, sia citate che omesse – ma ha anche formulato una teoria del mito che ne individuava la forza emotiva nella narrazione e nell’identificazione. Misurandosi con i miti non poteva che confermare ciò che già erano stati prima di lui nelle mani di poeti e drammaturghi, con le loro infinite variazioni sul repertorio collettivo di storie di migrazione, eroi migranti e divinità migranti. Particolarmente istruttiva è la sua franchezza nel terzo libro (414b-c) della Repubblica in cui sostiene che i miti opportunamente modificati possono funzionare come efficace menzogna in politica: ci serve “una nobile menzogna (…) per farla credere specialmente agli stessi governanti se non al resto dei cittadini”. Dichiarava con ancora maggior franchezza qualcosa di già conosciuto: che il fatto che si potesse giocare a osannare, drammatizzare, utilizzare, modificare i miti, addirittura censurarli e, naturalmente, filosofare tramite essi, era la dimostrazione del loro potere emotivo. E questo anche perché i miti circolano necessariamente en masse, cosa che già succedeva nell’antichità ancor prima di Platone.
All’opposto di questa consapevolezza, quando al mito in quanto tale viene attribuito uno status primario rispetto al mit-sein, questa concezione e funzione del “mito” è esattamente quella che Jean-Luc Nancy e Philippe Lacoue-Labarthe hanno elaborato nel loro saggio Il mito nazi, in particolar modo quando mostrano che “l’ideologia razzista s’è confusa con la costruzione di un mito (…), perché il mito può essere definito come un mezzo di identificazione”.[15]
A questo proposito, non si può non considerare ciò che Jean-Luc Nancy ha detto in un recente articolo intitolato “Demosophia”, apparso nel numero inaugurale della rivista ‘Philosophy World Democracy’. Demosophia, ovvero il luogo dove la filosofia e la democrazia danno forma al doppio di un non ancora esistente “vero pensiero del popolo, da esso e per esso, [che] dovrebbe soprattutto tenere in considerazione la philocratia, una delle spinte più forti della condotta umana. Questo non significa che non sia necessario un potere, ma l’amore del potere dev’essere controllato, incanalato, istruito secondo un altro amore, quello per la vita e la parola”. Quindi se, come abbiamo constatato, il mito nella Massenpsychologie è praticamente irrilevante per spiegare la psicologia collettiva, e i due miti in Al di là del principio di piacere difficilmente avrebbero potuto convincere qualcuno dell’esistenza della pulsione di morte, quello che tuttora ci interessa nel rapporto tra mito e massa in Freud deriva dalla nostra adesione nell’impiegare la sua particolare definizione della massa e della nostalgia. In realtà, si può dire che questa teoria del padre, della massa e della nostalgia nei termini di identificazione-funzione è essa stessa un mito. La sua peculiarità è di impedirci di accorgerci della costituzione di masse e anche di quella di leader. Ma basta pensare alle tragedie romane di Shakespeare per riconoscere le attività che si svolgono sullo sfondo dietro le scene per istituire un mito, per insediare un oggetto nella posizione di capo – e ad agire così sono spesso altri centri di potere, istituzioni come i media, gli opinionisti, i finanzieri e soprattutto le società di informazione tecnologica che possono instillare nelle moltitudini una sensazione di identificazione reciproca o di adorazione per un leader.
Sono tanti i modi, inoltre, per insediare dei leader che la massa non desidera per nulla ma che tuttavia la rappresentano sia su un piano pratico che formale. Un caso del genere è l’attuale premier dell’India Modi, che è stato scelto solamente dal 17% della popolazione votante. Qualche tempo fa è avvenuto qualcosa di estremamente significativo quando, presenziando a enormi raduni pubblici insieme a Donald Trump, nel corso di una conferenza stampa congiunta l’allora presidente americano dichiarò che Modi aveva governato talmente bene che “potrebbe essere considerato il padre dell’India, e bisognerebbe chiamarlo così”. Può anche darsi che un leader riesca a sostituire il padre di un’altra nazione con un nuovo padre, ma è ancora più significativo che, in questo caso, chi designava il padre fosse stato lui stesso la star di un reality televisivo. Alla fine, Trump chiarì ciò che intendeva con il termine ‘padre’ quando paragonò Modi a Elvis.[16]
Ecco cos’è la figura del padre nella psicologia delle masse: un intrattenitore.
Non è una sola, ma sono molteplici le omologie che si sviluppano in una comunità. Come nel caso dei miti, possiamo pensare alle comunità come en masse: le comunità si intrecciano al loro interno reciprocamente con tutta una serie di rapporti di vario tipo che vanno ben oltre quelli che il modello conflittuale suggerisce. Sono proprio questi rapporti a rendere impossibile rintracciare i confini o l’identità di “una” comunità come se fosse determinata da “un” tipo di legame interno tra i suoi membri. I legami affettivi o la funzione paterna svolgono solo un ruolo limitato e solo in alcune di esse. La costruzione e la definizione dei miti come patrimonio arcaico è solo una delle molte componenti di una regolarità in cui il mito stesso si fonda come un effetto. Solo cogliendo l’interrelazione del mito con le altre componenti di un sistema si può riuscire a capire perché delle persone si identifichino con un identico mito o leader. Ma questa identificazione, comunque, non spiega a sufficienza quella particolare situazione. L’idea che le masse o le comunità siano plasmate dal profondo bisogno di “un maschio forte”[17] o di un mito, è essa stessa un mito. Ritenere che il mito o l’identificazione affettiva (in altri termini, l’avere in comune) possano spiegare la comunità presenta lo svantaggio che, dato che il mito si comporta come uno schermo (anche come ricordo-schermo, o di copertura), esso ci impedisce di vedere quelle attività dietro di lui, per cui le condizioni della politica in una data situazione vengono stabilite da coloro che hanno invece i mezzi per farlo. Quali sono gli interessi e i desideri di questi uomini?
Invece di andare alla ricerca dei meccanismi psichici attraverso cui molte persone aderiscono a un’ideale collettivo comune, ci serve una teoria psicoanalitica che possa indagare nelle patologie di gente come Adolf Eichmann che non sembra essere né massa né leader, cioè quei rari individui che sono gli agenti tramite i quali l’effetto del leader di massa viene prodotto e conservato. Non devono neanche per forza essere dei singoli individui, bensì burocrazie, stati di polizia, grandi società come News Corp e Facebook, sette come QAnon, e organizzazioni di élite paramilitari come il RSS in India. Il libro di Hannah Arendt, come anche il saggio Il mito nazi, sono indagini nella psiche di coloro che edificano miti e che detengono una larga quota delle risorse per stabilire la legge di una regolarità in politica, in cui qualcosa che assomiglia a una massa prende forma.
La questione della massa e del mito si presenta in modo diverso una volta ridefinita come effetto di accordi di potere, nei confronti dei quali possiamo far nostra l’idea che tutti gli accordi di potere sono imbrogli, dietro i quali ce ne sono sempre altri e sempre differenti. L’imbroglio produce una sensazione di verità, sia nel suo svolgimento che nel suo venire meno, da cui derivano complicazioni che qui non è il caso di affrontare. Ma ciò ci consente di capire che per inventare e tenere in piedi un imbroglio in politica bisogna essere in tanti, perché la politica è responsabilità di molti. Al posto della teoria freudiana della massa che fa dell’identificazione e dell’idealizzazione il destino di ognuno di noi, la politica e qualsiasi altra forma di essere-con si rivelerebbero invece in questo modo come una nostra responsabilità collettiva.
Se l’importanza della Massenpsychologie nell’opera di Freud era quella di gettare un ponte che congiungesse l’epoca primigenia dello stato inorganico, dei protozoi e dei salmoni che depongono le loro uova, a quella dei suoi pazienti e dei suoi contemporanei, allora la solennità che ci riunisce per questo centenario ci porta anche a considerare se questo ponte vada prolungato, ammesso che lo si debba fare, ai nostri giorni e al futuro che ci attende.
[1] E.A.Poe, Il corvo e tutte le poesie, trad. it di T. Pisanti, Newton Compton Editori, Roma 2009. Tutte le citazioni di “”Spiriti dei morti” sono tratte da questa edizione.
[2] S. Freud, Massenpsychologie und Ich-Analyse, Internationaler Psychoanalytischer Verlag, Vienna 1921 [trad. it. E.A. Panaitescu, Psicologia delle masse e analisi dell’io, Bollati Boringhieri, Torino 1975, p.64].
[3] S. Freud, Das Ich und das Es, Internationaler Psychoanalytischer Verlag, Lipsia 1923 [trad.it. di C. Musatti, L’io e l’Es, in Opere, Bollati Boringhieri, Torino 1976, vol. 9., III parte].
[4] La citazione va letta per intero: “Possiamo in proposito rappresentarci soltanto questo: il padre primigenio aveva vietato ai propri figli il soddisfacimento dei loro desideri sessuali diretti; li costrinse all’astinenza e perciò a quei legami emotivi con lui stesso e fra loro che potevano scaturire dagli impulsi la cui meta sessuale era inibita. Li immise per così dire con la forza nella psicologia collettiva. La sua gelosia sessuale e la sua intolleranza divennero in ultima analisi la causa della psicologia delle masse”. Psicologia delle masse e analisi dell’io, op. cit. p.73.
[5] Psicologia delle masse e analisi dell’io, op. cit. p.51, 88, 76, 77, 16.
[6] “Chiamando e ricusando il racconto, questo quasi-evento si marca di narratività fittizia (finzione di narrazione così come finzione come narrazione: narrazione fittizia in quanto simulacro di narrazione e non soltanto in quanto narrazione di una storia immaginaria). È l’origine della letteratura e nello stesso tempo l’origine della legge, come il padre morto, una storia che si racconta, un rumore che corre, senza autore e senza fine, ma un racconto ineluttabile e indimenticabile. Che sia fantastica o no, che derivi o no dall’immaginazione, anche dall’immaginazione trascendentale, che essa dica o taccia l’origine del fantasma, questo non toglie nulla alla necessità imperiosa del suo dire, alla sua legge” [T.d.T.]. J. Derrida, “Devant la loi” in, Aa.Vv, La Faculté de juger, Minuit, Paris 1985, p. 117.
[7] Psicologia delle masse, op. cit. p.77
[8] Psicologia delle masse, op. cit. p.79.
[9] S. Freud, Jenseits des Lustprinzips, Internationaler Psychoanalytischer Verlag, Vienna 1920 [trad. it. di A. M. Marietti e R. Colorni, Al di là del principio di piacere, Bollati Boringhieri, Torino 1975, p.60].
[10] Al di là del principio di piacere, op. cit. p.62.
[11] Al di là del principio di piacere, op. cit. pp. 70-97.
[12] Vediamo i risultati di questa integrazione quando, evocando Al di là del principio di piacere, nel capitolo terzo di L’Io e l’Es afferma: “Ciò che la biologia e le vicende della specie umana hanno creato e depositato nell’Es, viene, attraverso la formazione dell’ideale, assunto dall’Io e individualmente rivissuto per esso. L’ideale dell’Io, per le vicende che hanno condotto alla sua formazione, si riallaccia sotto molteplici aspetti alle acquisizioni filogenetiche, e cioè all’eredità arcaica dell’individuo singolo. Ciò che ha appartenuto alla dimensione più profonda della vita psichica individuale, si trasforma, mediante la formazione dell’ideale, in quelli che noi riteniamo i valori più alti dello spirito umano”. S. Freud, L’Io e l’Es, op. cit. pp. 498-99. È solo alla luce di Al di là del principio di piacere e di Massenpsychologie insieme che Freud affronterà più avanti la ingarbugliata questione, se cioè questa tendenza a ritornare/regredire/reprimere, a cui dobbiamo la religione e la moralità, è stata inizialmente ereditata tramite l’Io dell’uomo primitivo (ovvero, attraverso il complesso paterno) o. ancor prima di questo. tramite l’Es. E, rifacendosi sia a Al di là del principio di piacere che alla Massenpsychologie, egli dice che in questo caso non occorre stabilire la priorità perché in effetti lo stesso distacco dell’Io dall’Es risale a uno stato molto precedente ed è più antico dell’uomo primitivo, è ancestrale quanto lo sono “esseri viventi molto più semplici” e l’ideale dell’Io “lo abbiamo derivato proprio da quelle esperienze che generarono il totemismo”, ovvero dall’orda primitiva: “chi a suo tempo acquisì la religione e la moralità, a partire dal complesso paterno? L’Io del primitivo o il suo Es? […] Bisogna ammettere la differenziazione fra Io ed Es non soltanto negli uomini primitivi, ma perfino in esseri viventi molto più semplici, giacché essa è l’espressione necessaria dell’influenza del mondo esterno. Quanto al Super-io, lo abbiamo derivato proprio da quelle esperienze che generarono il totemismo. Porsi il problema se quelle esperienze e quelle acquisizioni appartengano all’Io o all’Es, si dimostra ben presto privo di senso”. S. Freud, L’Io e l’Es, op. cit. p. 500.
[13] Psicologia delle masse, op. cit., p.33.
[14] Psicologia delle masse, op. cit., p.74.
[15] P. Lacoue-Labarthe, J.L. Nancy, Le mythe nazi, Éditions de l’Aube, La Tour d’Aigues 2016 [trad.it. di C. Angelino, Il mito nazi, Il Melangolo, Genova 1992].
[16] In tutto questo non va dimenticato che il vecchio padre dell’India, M. K. Gandhi, era anch’egli largamente il prodotto di una estesissima pubblicità mediatica (il suo contributo politico principale fu impedire la marea dei movimenti anticasta, per rafforzare invece, con la scusa dell’identità data dalla ‘religione hindu’, il dominio della casta superiore e facendo del partito del Congresso il custode degli interessi delle caste superiori, che rappresentano meno del 10% della popolazione del paese).
[17] Psicologia delle masse, op. cit., p.71.